La figlia della serva, di Patrizia Carrano. La mia recensione su Leggendaria n. 166, giugno 2024

La figlia della serva, di Patrizia Carrano. La mia recensione su Leggendaria n. 166, giugno 2024

Quante volte ci è capitato di tornare con il pensiero su un libro che abbiamo letto e che ha colpito il nostro immaginario, e chiederci “Chissà come è andata avanti la storia, e lei se la sarà cavata? ”. Domanda in apparenza senza senso se si tratta di fiction, ma queste sono le magie della lettura. A me capita spesso, soprattutto se si tratta di una personaggia. Mi era successo di recente proprio con la giovane protagonista del romanzo di Patriza Carrano, La bambina che mangiava i comunisti, che precede questo di cui sto scrivendo.

La protagonista, Elisabetta, è una bambina che ha dieci anni nel momento in cui la storia si conclude con la famosa nevicata del ’56 su Roma, e l’abbraccio finale con la madre che, spaventata per la sua assenza in quella notte di bufera mai vista prima, alla fine la ritrova. E’ una madre piuttosto distratta, presa da molte passioni, tra le quali la figlia occupa uno spazio esiguo. Eppure quel finale lasciava presagire una nuova possibilità di relazione tra loro. Patrizia Carrano con La figlia della serva ci toglie un po’ di quella illusione raccontandoci quali strade ha preso negli anni la storia di Elisabetta e di sua madre Franca: lei, la figlia, è cresciuta portandosi dietro il fardello del disamore, della mancanza dello sguardo della madre su di sé, e questo peso ha rappresentato l’inciampo su cui si sono arenate le relazioni, gli amori creduti tali, e le inevitabili delusioni. E proprio i rapporti con la madre, diventata un’anziana, battagliera e insopportabile signora che ha seppellito due mariti, hanno rappresentato l’archetipo di tutte le mancanze e le delusioni. L’unico affetto vero che Elisabetta riceve è quello della “serva” Beppa, nei lunghi anni in cui rimane a servizio da loro. Forse il termine “serva” ci è sembrato poco “political correct”, ma un tempo il suo uso era comune tra le signore più o meno “bene” a prescindere dall’orientamento politico, e diffuso anche il suo significato dispregiativo ( Non sono mica la figlia della serva!). E qui si apre il secondo filone della storia, che si intreccia con quello che racconta di Elisabetta, mettendo in scena le tante donne che hanno accudito in vari modi le due protagoniste: colf venute dal Veneto e dalle Marche, e poi dai diversi paesi dell’ Est e del Sud del mondo; donne che hanno vissuto vite faticose, poco gratificanti, presenti ma invisibili nell’indifferenza di chi vive loro accanto. E così dopo Beppa ecco Esterina, Melinda, Annalisa, Ottavia, e infine Manuel, unico uomo, una sorta di angelo della Provvidenza. Il terzo filone invece riguarda Franca: “Della sua vita Franca non aveva compreso molto. Lei che parteggiava per gli ultimi del mondo, e che aveva seguito con attenzione i raid di Rosarno scartocciando cioccolatini svizzeri, aveva sempre vessato i domestici che avevano lavorato nelle sue case, fin dai tempi della Beppa, che si faceva comandare a bacchetta rispondendo “comandi” e passando per la saggia Ofelia per arrivare a Manuel”. Lei che strappava dai capelli della piccola Elisabetta le mollette con i fiocchi rosa che le comprava Beppa, ringhiando che così “sembrava la figlia della serva”. Forse arrivata all’età del centenario Franca, pur restando una vecchia indomita e rissosa, qualcosa in più capirà. Forse. Lo scopriremo leggendo.

(Leggendaria N. 166, giugno-luglio 2024. Maristella Lippolis, La figlia della serva, Patrizia Carrano, Vallecchi 2024)