Tornare a Genova
Ero emozionata, lo confesso: non tornavo a Genova da moltissimi anni e sempre più spesso mi sentivo come l’emigrante della canzone Ma se ghe pensu. Finalmente il giorno è arrivato, grazie alla presentazione del mio romanzo, una storia che si dipana come un gomitolo intorno al tema della memoria.
Associazioni di idee e di parole: gomitolo, caruggi che si arrotolano su se stessi, creuze che precipitano verso il mare, profumi di fritto e di farinata. Ma tutto questo è arrivato tardi, negli anni della lontananza. Invece il mio (e forse non solo mio) immaginario intorno alla Superba, che non è la mia città, si è formato in maniera diversa: Genova era il posto dove si andava per risolvere dei problemi seri, a volte gravi, spesso legati alla malattia.. “Povero bambino, non si riesce a capire cos’ha, l’hanno portato anche a Genova…” Lì infatti c’era il Gaslini, l’ospedale dei bambini, e ci si andava quando il pediatra di famiglia non sapeva più cosa fare. “Lo porti al Gaslini…”, mormorava con un sospiro, e i genitori impallidivano, perché significava che era davvero una cosa grave! “Non abbiamo risolto niente, siamo andati anche a Genova!” (detto a proposito di qualche pratica burocratica complicata). Quindi un posto un po’ tetro, immagine avvalorata dal paesaggio che si apriva guardando dal finestrino del treno quando si arrivava in prossimità della città. Il mare scompariva, al suo posto mostri di ferro arrugginito, acciaierie e raffinerie, palazzoni grigi e tristi, giusto un attimo di respiro (“guarda laggiù, la vedi? E’ la Lanterna…”), subito inghiottita dalla galleria di Principe. In realtà a Genova ci si andava anche per motivi meno tragici, ma importanti: per esempio, se si rompeva la radio e bisognava comprarne una nuova si andava a cercarla a Genova: si scendeva alla Stazione di Principe, e quasi subito ci si infilava in Via Prè, la strada del contrabbando. Qualche volta ci sono andata con mio padre, gli occhi fissi a terra per non incrociare quelli delle numerose signore e signorine che animavano la strada, appoggiate ai muri del vicolo, e che capivo rappresentavano un qualche elemento di disturbo. Non per mio padre, che pare a Genova avesse anche un’amante, a sentire mia madre, che ovviamente non approvava queste trasferte dettate dalla necessità di comprare a buon mercato. Penso che forse mio padre mi portava con sé come parafulmine, così lei non avrebbe potuto sospettare secondi fini.
Genova quindi non era una bella città, da visitare e da ammirare, era il luogo della necessità, almeno per noi che venivamo dal ponente e dalla Riviera dei Fiori. Il mare da Genova infatti non si vedeva, non dai luoghi frequentati per necessità, e nemmeno dal porto. Era lontano, invisibile e irraggiungibile. Oggi è tutto diverso, lo sappiamo, grazie agli interventi lungimiranti pensati da Renzo Piano che hanno trasformato la zona del Porto Antico e ai restauri accurati di tutto il centro storico. La mia tre giorni genovese mi ha restituito una città bellissima, da percorrere con il naso all’aria per non perdere le centinaia di facciate che sfilano in alto, zeppe di affreschi e stucchi, le Madonnette agli angoli dei vicoli, le persiane verdi e altissime, le chiese alte in cima a vicoli e piazzette; come quella di Piazza Banchi, che si trova al primo piano, perché sotto avevano ricavato spazi per le botteghe, allo scopo di recuperare così un po’ di soldi per pagare i costi dell’edificio.
Con il naso si annusano anche i profumi che escono dalle botteghe e dalle panetterie. C’è ancora qualche friggitoria di quelle di una volta, come Sà Pesta, dove si cuoce la farinata, la focaccia (quella con l’ombelico!), le torte di verdure e quelle di riso.
E poi a Genova non ci si perde mai! Se non sai più dove sei basta andare in discesa, e prima o poi arrivi vicino al mare. E i Rolli? Palazzi di pregio che già nel ‘500 erano destinati a ospitare personalità illustri in visita in città. Un’anticipazione dei nostri b&b! Ma sono salita anche in alto, con la funicolare di Righi, con la cabina rossa che sfiora cucine e tinelli, orti e giardini. All’inizio sembrava vagamente di essere a Lisbona, ma Genova è Genova! Non somiglia a nessun’altra città. E dall’alto si vedono le montagne verdissime di boschi da un lato, e dall’altro la conca della città abbracciata dal mare. Insomma, andate a Genova!