Sono io la tua sposa marina
Come mi capita sempre quando un libro mi piace, ho desiderato raccontare il romanzo di Donatella Borghesi, Sono io la tua sposa marina (L’Iguana, 2018) non appena ne ho terminato la lettura. L’ho quindi proposto al gruppo del Club del Libro che si riunisce nella libreria Moroni di Pescara e che ha già organizzato molte presentazioni del corso degli ultimi due anni. Da dove iniziare a raccontarlo? Forse da un giorno di dicembre del 1930, in mezzo al mare di Bretagna che lambisce Quiberon e la piccola Belle-Ile (che avevo intravisto in un giorno estivo di gran vento, circondata da maestosi voli di albatros, durante un mitico viaggio on the road insieme alle mie figlie ragazzine). Lì infatti ha inizio la catena di eventi che l’autrice racconta e che ha segnato il dipanarsi della storia di quattro generazioni di donne lungo quasi novant’anni, e insieme a loro storie di amori, perdite, ricostruzioni, rinascite; figli e nipoti: la capostipite Marianna, sua figlia Nicla, che è la madre della scrittrice, la nipote e la sua piccola figlia.
Romanzo quindi dichiaratamente autobiografico, in cui le storie si intrecciano e scendono attraverso i rami di un albero genealogico ricco e variegato nutrendosi le une con le altre. E allora si potrebbe iniziare anche da qui, dal come e quando l’autrice ha iniziato a pensare alla scrittura di questa storia: da quando cioè ha iniziato a leggere, con l’intento di riordinarle, un fascio di lettere che il nonno, Alberto Gianni, palombaro scelto della marineria viareggina, aveva inviato alla moglie Marianna nel corso di tre lunghi anni trascorsi in mezzo al freddo mare del Nord in un difficile e pericoloso lavoro di recupero di relitti più o meno preziosi. Erano considerati i massimi esperti nel loro campo, i componenti dell’equipaggio dell’Artiglio, abili nel maneggiare e posizionare gli esplosivi subacquei. Pochi giorni prima di tornare a casa per le feste di Natale accadde l’imprevisto e l’Artiglio saltò in aria insieme al suo equipaggio. Ecco, la storia inizia qui, ma inizia anche nel momento in cui Alberta (nome che l’autrice si è assegnata dentro una storia narrata in terza persona) legge quelle lettere e inizia ad osservare con uno sguardo diverso le poche fotografie della nonna Marianna, vedova inconsolabile e madre di quattro figli, e lo fa con lo sguardo di una donna adulta di oggi, che è stata una ragazza del ’68, rendendosi conto che di quella nonna in realtà ha sempre saputo troppo poco. E così anche della propria madre, Nicla. Perché una storia può iniziare ad esistere se ci sono occhi che sanno guardare, anche se le voci ormai sono perdute per sempre. E si possono però ritrovare fili nascosti, tirarli fuori e riportarli alla luce. Intrecciare la propria memoria con quella di altri, riordinare un puzzle e dare un senso a ciò che si conosce, e a ciò che si può immaginare, riempire i vuoti. E così si dipana la storia che Donatella Borghesi ricostruisce con sapienza e affetto, verso le proprie antenate ma anche verso sé stessa e la propria figlia, a cui spetta il compito di chiudere l’affresco con un’immagine di grande bellezza: “come se sua figlia rimediasse in qualche modo ai suoi errori, correggesse la sua postura e la sua posizione nello spazio. Istintivamente Alberta raddrizza la schiena, fa scrocchiare le scapole e apre le spalle”. Perché quando si conosce la propria storia, l’origine, allora il presente diventa improvvisamente chiaro, leggibile. Questo accade ad Alberta, ma accade la stessa cosa a Jean, il figlio segreto che il nonno ebbe dalla relazione con la ragazza Adrienne durante i tre anni trascorsi in Bretagna: un uomo che nel momento in cui decide di scrivere la propria biografia di politico affermato nel Governo socialista di Mitterand, riscopre l’orgoglio di essere figlio di un anarchico antifascista reggino che mai si era piegato al regime. E così ognuno ritrova il proprio spazio all’interno del grande affresco disegnato da tante vite che si ricongiungono, alla fine, acquistando un nuovo e più denso significato. A dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che il lavoro sulla memoria non è mai un semplice esercizio del ricordare ma qualcosa in grado di dare senso al presente.
Donatella Borghesi, giornalista e scrittrice, nata a Lucca da famiglia viareggina, oggi si divide tra la Milano, la Maremma e Parigi, dove vivono la figlia e la nipote. Ha lavorato a lungo come giornalista e ed è stata capo redattore di Marie Claire. Nel 2000 ha pubblicato con La Tartaruga il saggio Specchio delle mie brame, luci e ombre dell’invidia tra donne. Questo è il suo primo romanzo, ed è stato pubblicato dalla casa editrice L’Iguana nel 2018.