Abruzzo in cucina, dalle montagne al mare.
Arrivare molto giovane dalla Liguria in Abruzzo, e restarci, ha rappresentato un cambio di vita, ma anche di paesaggi, di suoni e di sapori. Ho trovato una natura bellissima e incontaminata nel vasto entroterra; un mare diverso e più accogliente di quello selvaggio che avevo lasciato, con le sue burrasche e i cavalloni che spazzavano il lungomare delle mie città costiere; la vivacità di Pescara luminosa e allungata sulla costa. La presenza forte del mare e della montagna in qualche modo mi ricordava la mia Liguria: in entrambe le regioni dalla riva del mare si scorgono in lontananza le cime innevate. Ho trovato anche una cucina ricca di piatti e ingredienti che non conoscevo. Pian piano me ne sono appropriata assaggiandola nei ristoranti, nelle case di amiche, cominciando a sperimentarla. Il primo incontro è stato quello con i legumi: le zuppe e le minestre di fagioli, ceci, lenticchie (indimenticabili e buonissime quelle preparate alla mensa universitaria, dove portavo anche le mie figlie di pochi anni!). La cucina mi incuriosisce, come si sa, e non ho mai smesso di imparare e sperimentare, anche grazie a viaggi da cui sono sempre tornata con libri di ricette locali; a volte scritti in lingue che non conoscevo alla perfezione, e che hanno richiesto l’acquisto di qualche vocabolario.
Qui di seguito scriverò alcune ricette abruzzesi che non provengono dai racconti di Abbi cura di te, ma che ormai appartengono alla mia tradizione dalle molte radici. Molte le ho apprese da un piccolo prezioso libro pubblicato vent’anni fa a cura dell’Associazione provinciale Cuochi di Pescara, che organizza il Concorso Gastronomico Regionale Lu Carrature d’Ore, omaggiando nel nome l’antico strumento di legno e fili d’acciaio che serve per tagliare spaghetti a sezione quadrata, detti maccheroni alla chitarra, così diffuso nelle case abruzzesi da entrare a far parte della dote delle spose. Il nome sembra derivare dal francese carrer (tagliare). Voglio citare anche un altro libro che consulto spesso, La cucina della Maiella, di Lucio Biancatelli e Gino Primavera. Prevengo le obiezioni di chi ritiene che carrature sia il nome della rotella dentata che serve a tagliare la pasta, opinione minoritaria.
Scrippelle ‘mbusse ( in brodo) Le scrippelle sono crepes leggere e sottili, ottenute con uova, farina, latte e acqua. Si preparano mescolando quattro uova con della farina fino ad ottenere un impasto denso che si diluisce con 100 ml di latte e acqua quanto basta ad ottenere un pastella fluida, aggiustando di sale. Dovete regolarvi ad occhio. Preparate le crepes con l’apposito padellino. Una volta pronte spolveratele con abbondante pecorino e un pizzico di pepe, arrotolatele e ponetele sul fondo di ciascun piatto, e ricopritele di brodo bollente.
Timballo di scrippelle . Si usano le scrippelle come se fossero sfoglie da lasagna. Le farciture cambiano a seconda delle tradizioni locali e familiari, ma non mancano mai sugo di pomodoro, piccolissime polpettine di carne, parmigiano, mozzarella o scamorza. Si cuoce in forno, e il risultato è garantito.
Il brodo di Natale. Non è possibile preparare un pranzo di Natale senza il classico brodo abruzzese, di tacchino o di carni miste, a cui si aggiungono le polpettine precedentemente rosolate in poco olio, il cardone tagliato a pezzetti e lessato, una stracciatella di uovo e formaggio oppure la pizza di uova tagliata a quadretti.
Agnello “Cacio e ova”. Per questo piatto semplice e saporito si utilizza della polpa di coscia tagliata a piccoli pezzi, che si fanno rosolare in un soffritto di cipolla e aglio, con erbe di montagna; si sfuma con del vino bianco e si porta a cottura aggiungendo un po’ d’acqua affinché rimanga morbido. Verso la fine della cottura si sbattono delle uova con del formaggio grattugiato e prezzemolo tritato, che si aggiungono alla carne mescolando bene. Si cuoce ancora qualche minuto fino a che tutta la carne sarà avvolta dal composto cremoso .
Ceci e baccalà. Nell’entroterra montano si usava lessare il baccalà ( che arrivava portato dai venditori ambulanti) insieme ai ceci, che abbondavano. Oggi quella tradizione si è perduta, ma l’ho trovata rielaborata da un noto ristorante pescarese in questo modo: si lessano i ceci, quelli piccoli e teneri di montagna, si riducono in crema condita con poco olio e prezzemolo; il baccalà sfilettato si fa saltare rapidamente in padella e si serve insieme alla purea di ceci.