Marchesa Colombi, sguardo attento e denuncia sociale di fine ottocento
Dobbiamo alla cura di Silvia S.G.Palandri se oggi possiamo rileggere alcuni lavori importanti di una delle madri della nostra letteratura. Sono sempre più numerose le riscoperte delle nostre scrittrici dimenticate: grazie a case editrici che pubblicano inediti o ristampe di libri che a suo tempo sono stati importanti e che per decenni hanno trovato riparo solo nelle biblioteche; giovani studiose che si dedicano con entusiasmo alle “madri di scrittura”; scrittrici importanti che producono recensioni; iniziative di studio come quelle organizzate dalla Società Italiana delle Letterate e da sue socie. Una delle ultime pubblicazioni in ordine di tempo riguarda Marchesa Colombi. Si tratta dello pseudonimo con cui Maria Antonietta Torriani fu protagonista della scena letteraria milanese sul finire dell’ 800 in veste di scrittrice e giornalista, prima donna a firmare articoli con il Corriere della Sera, la giovane testata fondata da colui che diventerà suo marito, se pure per poco tempo. A cura di Silvia S. G. Palandri e con una sua introduzione è stato pubblicato alla fine del 2021 da edizioni Croce di Roma il volumetto dal titolo Racconti di Natale. Si tratta di sette racconti, dei quali quattro costituivano il volume “Racconti di Natale” del 1878, e altri tre erano stati pubblicati su riviste. E’ il caso di chiarire subito che il tema natalizio non è che un pretesto: alcune vicende narrate trovano il loro epilogo proprio la vigilia o il giorno stesso del Natale, ma la gran parte di essi potrebbe vivere a prescindere dall’occasione. Basti pensare che uno di questi, Il Curare, è stato inserito di recente in una diversa raccolta di racconti, Le scrittrici della notte, curata da Loredana Lipperini, un’antologia dell’orrore a firma femminile. Anche il romanzo In risaia, considerato un piccolo gioiello della narrativa di fine ‘800, era stato pubblicato come Racconto di Natale, con il pretesto che tutta la vicenda della sventurata protagonista si conclude positivamente nella giornata della festività natalizia.
In realtà in tutti questi racconti, e anche nel romanzo appena citato, molto evidente appare la denuncia sociale: condizioni di lavoro, povertà delle classi subalterne, mancanza di mezzi di sussistenza, miseria morale ed egoismi. Il ‘900 si affaccia già carico dei dolori e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e a farne le spese saranno in primo luogo le donne e i bambini, i più poveri e indifesi tra gli ultimi. E non è un caso se la scrittrice, oltre ad essere una valente letterata, è stata anche militante nei nascenti movimenti di emancipazione femminile coadiuvando il lavoro e l’impegno di Anna Maria Mozzoni a favore delle donne. Convinte che una nuova educazione femminile fosse la strada maestra per consentire alle donne la “liberazione”e allargare l’orizzonte di una formazione esclusivamente atta a sfornare madri, mogli e padrone di casa, insieme fondano l’istituto Gaetana Agnesi, nelle cui aule transitarono come insegnati letterate e emancipazioniste illustri. La sua epoca la considerò soprattutto come un’autrice rivolta al pubblico femminile per la sua costante attenzione al mondo delle donne, per i suoi toni sentimentali e per la minuziosa descrizione degli ambienti familiari e domestici, ma si trattava di stereotipi basati su pregiudizi nei confronti delle scrittrici. E basta leggerla per capirne la straordinaria modernità e la grandezza, come seppero bene mettere in luce Natalia Ginzburg e Italo Calvino, curando nel 1973 la pubblicazione per Einaudi di Un matrimonio in provincia, riconoscendole “asciuttezza di visione e libertà espressiva raramente presenti in Italia”.