All we imagine as light

All we imagine as light

Ho visto un film bellissimo, un gioiello purtroppo svilito da un titolo italiano che tradisce del tutto quello originale come succede spesso. All we imagine as light da noi diventa Amore a Mumbai, che fa persino impressione a scriverlo. Ma il senso del film sta proprio in quelle due parole, immaginazione e luce. Dobbiamo questa perla preziosa alla regista Payal Kapadiya, che firma anche la sceneggiatura dopo aver scritto e diretto fin’ora documentari,e con questo film all’ultimo Cannes ha vinto il Premio speciale della giuria. La storia su svolge in una Mumbai popolata da una moltitudine di persone senza nome, che viene sempre più spinta ai margini dopo aver contribuito a edificare i grattacieli illuminati dentro una notte difficile da vivere. Tra il dentro e il fuori si muovono tre donne che lavorano in un ospedale, Prabka e Anu come infermiere e Parvaty come inserviente. Quest’ultima sta per perdere la povera casa dove vive, sulle sue macerie sorgerà un nuovo palazzo e lei resterà in mezzo alla strada. Le due colleghe abitano insieme, quella più giovane, Anu, vive una storia d’amore clandestina con un ragazzo mussulmano, e i suoi genitori stanno preparando per lei al paese un matrimonio combinato. Prabka è una specie di vedova bianca di un marito emigrato in Germania e di cui non ha più notizie da anni. Le loro tre solitudini cercano vie d’uscita e le trovano quando lasciano la città per accompagnare Parvaty al suo villaggio, vicino al mare, dove almeno avrà una casa. Lì non c’è più la notte di Mumbai a incombere, ma la luce della natura capace di risvegliare l’immaginazione. Ve lo consiglio! Non perdetelo.