Colpire al cuore
Sto leggendo e rileggendo i romanzi di Laudomia Bonanni, per passione ma anche perché la SIL in settembre le dedicherà una giornata di studio che sto organizzando insieme a tante amiche. E’ una continua sorpresa Laudomia Bonanni: le protagoniste dei suoi romanzi ci appaiono di una straordinaria modernità, l’audacia con cui la scrittrice aquilana scandaglia i loro stati d’animo è coinvolgente. Ma anche negli elzeviri, pubblicati nel corso di decenni su importanti quotidiani, rivelano sorprese. Come questo, dal titolo Colpire al cuore, apparso su Il Giornale d’Italia nel luglio del 1961. Una lettura che mi ha molto colpita, per usare lo stesso verbo usato da lei, per il modo in cui racconta del suo incontro con la scrittrice Gianna Manzini e per come riesce a delineare quel rapporto speciale che si crea tra donna che legge e donna che scrive, di cui tante teoriche della differenza avrebbero scritto una ventina di anni più tardi. Ho ritrovato in questo breve scritto le stesse emozioni che provo nella lettura che coinvolge, che parla, che suscita il desiderio di parlarne ad altre. Ne riporto uno stralcio, ripreso da volume curato da Anna Maria Giancarli per la casa editrice Tracce nel 2007.
Colpire al cuore
La prima volta che la vidi (e non fu il vederla di un momento, ma starle davanti a lungo, guardarla e riguardarla dalle brevi distanze di un salotto) me ne rimase dentro una strana immagine, che perdurò tale – e direi che anche adesso mi tocchi fare uno sforzo per modificarla – attraverso almeno un paio d’anni. La vedevo, nel ricordo, così: due occhi, di un dolce eppur focoso, lucore scuro, indicibilmente spirituali nell’aureola leggerissima del biondo dei capelli. (…..) Bene, comunque, se c’è un biondo che per me non può stingere, è quello aureolante gli occhi di Gianna Manzini.
…Sempre ho avuto, a ogni suo libro, una curiosità: farlo leggere ad alcune donne e ascoltarne, incitarne le impressioni. Questo per una precisa idea: che certe rischiosità estreme, certe esplorazioni inaudite, fossero accessibili fino in fondo a qualche ben dotato spirito femminile piuttosto che a quello maschile in genere. Intendo, in un certo senso. Per istinto ed emotività; uno spericolarsi in regioni verso cui la donna è talvolta portata dalla sua stessa natura. E può, certe cose, sentirle. Non tanto capirle letterariamente o criticamente, ma sentirle. Quell’ essere attraversati dall’illuminazione come da un lampo, quel provarne fulmineo trasalimento interiore, che non concreta la comprensione ma quasi l’annulla incarnandosela. Le donne perlopiù non sanno parlare, una volta letti, dei libri della Manzini. Però alcune sanno leggerli superlativamente bene. Invito le lettrici a provare, sarà una prova di se stesse. Alla Manzini, per spiccarsi, non occorre un pretesto realistico, subito evade attraverso una screpolatura della realtà. E’ con un tenero distacco, con un’occhiata rapida già distolta, che v’induce a seguirla, se potete. Sa di condurre troppo lontano, non vi sollecita. E’ davvero in regioni della sensibilità ancora inesplorate, che vi porterebbe. Essa vi s’inoltra e muove con una sicurezza sinuosa, con un’audacia assaporata, sconcertante. Talora capita, dietro a lei, di avere le vertigini. Ne ha lei stessa? Forse no. Io direi che no.