Elisa e Tina
La buona cucina di Elisa/Tina ha attraversato il tempo: alla tradizione casalinga si è aggiunta quella che ha mescolato provenienze geografiche e sperimentazioni da manuali. Il Polpettone appartiene alla prima categoria, quella della tradizione ligure, dove non c’è niente che non si possa trasformare in sformati, ripieni, torte salate, frittelle. Persino un pezzo poco pregiato di pancia di vitello insieme a un pugno di erbette e qualche pisello diventa una prelibatezza come la Cima genovese.
Polpettone
Si tratta di un semplice sformato di patate, ma se sono di ottima qualità e se gli ingredienti sono dosati nel modo giusto il risultato è molto appetitoso. Il procedimento è semplice e gli ingredienti pochi. Il trucco per la migliore riuscita consiste nel dosare la quantità con la grandezza dello stampo, in modo che risulti alto non più di un dito e mezzo. Deve rimanere croccante in superficie e morbido all’interno. Una volta lessate le patate si schiacciano ancora calde (mi raccomando non usate il mixer!). Poi si uniscono uova, parmigiano, olio, maggiorana fresca, un pizzico di pepe e di noce moscata. Sulla superficie aghi di rosmarino fresco (indispensabile, come la maggiorana; se non li avete lasciate perdere); una bella manciata di pangrattato e un giro d’olio. Si può fare un po’ più ricco ricavando due strati di composto e sistemando delle fettine di formaggio molle tra uno e l’altro. A fuoco medio (180 gradi, per circa 40 minuti) , ma dipende sempre dal forno, dal tempo, dalla distrazione.
Minestra di pesce (Ciuppìn, o Buiabasciu)
Tina prepara una minestra di pesce a cui attribuisce in dialetto un nome che suona come Buiabasciu, che richiama nel suono la Bouillabaisse provenzale. In realtà i due piatti hanno in comune l’essere una minestra di pesce, ma questa nostra somiglia di più al Ciuppìn genovese e consiste in una preparazione molto particolare in cui i pesci dopo una veloce cottura vengono schiacciati al passaverdura insieme agli odori. Servono dei pesci di scoglio, da zuppa mista secondo il pescato locale, ad esclusione del pesce azzurro. Devono essere saporiti e carnosi, come lo scorfano, il nasello, il pesce cappone, Per la quantità regolatevi, possiamo dire mezzo chilo. Serve una casseruola capiente, meglio se di terracotta, in cui si mette a rosolare in olio una cipolla, una carota, uno spicchio d’aglio, un bel gambo di sedano, dello scalogno, un grosso pomodoro maturo, una patata, tutto tagliato a pezzi; prezzemolo e timo, e una presa di sale. Dopo cinque minuti di cottura a fuoco vivace si aggiungono i pesci puliti e squamati, interi o a pezzi se sono grossi, e si mescola tutto a fuoco vivace. Poi si copre d’acqua e si cuoce a fuoco basso, disfando con il cucchiaio di legno. Calcolate il tempo a occhio (una mezz’ora circa) e quando tutto è arrivato a cottura prelevate il pesce e le verdure e versate nel passaverdura con la rotella a buchi medi sopra un’altra pentola, aiutandovi con il brodo di cottura, che man mano dovrete aggiungere tutto. Ma regolatevi, la minestra non deve essere troppo liquida ma nemmeno una purea. Le parti troppo dure come le teste e le lische toglietele prima, mentre le spine resteranno nel passaverdura ( non potete fare questa operazione con il mixer altrimenti nel passato finiranno anche le spine!).
In ultimo aggiungete una bustina di zafferano e cuocete ancora dieci minuti. Deve rimanere bella densa. Servite caldo con fette di pane abbrustolito insaporite con l’aglio. E quest’ultimo tocco è provenzale, ma ancora di più lo sarebbe se si servisse una salsa Rouille. Come si usa fare con la Bouillabaisse. Per rifinire potete aggiungere qualche pezzo di pesce che non avrete passato, o qualche cozza.
Tacchino farcito
Si tratta di una ricetta tipicamente natalizia e adatta ad una tavolata numerosa, che ho preparato sempre uguale per innumerevoli anni, fino a che le mie figlie non si sono rifiutate di “mangiare quella povera bestia”. Per il ripieno occorrono: 300 grammi di carne macinata di vitello, 200 grammi di salsiccia, 50 grammi di uvetta, 20 prugne secche senza nocciolo. L’uvetta si lascia in ammollo nel Porto, le prugne devono restare immerse nel tè per due ore. Si mette a rosolare nell’olio la carne in un tegame capiente insieme a qualche fettina di lardo, si aggiunge la frutta messa in ammollo, sale e pepe e timo fresco. Con questo ripieno si farcisce il tacchino premendo bene all’interno e si cuce l’apertura con filo grosso da cucina (non è difficile, dovete cucire i lembi di pelle, serve un ago grande da lana). Se proprio non vi riesce lasciate perdere. Dovete calcolare 20 minuti di cottura per ciascun mezzo chilo di peso del tacchino. Durante la cottura bagnate spesso con il Porto. Tagliandoli ma pezzi dovrete servirli con una porzione di ripieno. In genere un tacchino da farcire intero pesa sui quattro chili, ma se siete solo in 2/4 persone potete usare anche un cappone e ridurre un po’ le quantità del ripieno.
Pain d’epices
E’ un dolce natalizio di origine alsaziana, ma nelle pasticcerie francesi si prepara tutto l’anno. Ne esistono molte versioni, questa che vi propongo è un mio adattamento sperimentato. Vi servirà uno stampo da plum cake di 24 cm. foderato di carta da forno. Ingredienti: 150 grammi di farina integrale, 150 grammi di farina di segale, 100 grammi di zucchero di canna Mascobado, un cucchiaino raso di cannella, uno di noce moscata, uno di chiodi di garofano, uno di zenzero, un pizzico di sale, 200 ml di latte, 200 grammi di miele liquido, un cucchiaio di acqua di fior d’arancio, mezza bustina di lievito.
Si mescolano tutti gli ingredienti, prima quelli asciutti e poi via via i liquidi. Si versa il composto nello stampo foderato di carta da forno e si cuoce per 40 minuti a 180 gradi. Provate la cottura con lo stecchino. Quando è cotto ma ancora caldo spennellate la superficie con del miele e cospargete con granella di zucchero ( ma anche con frutta secca tritata o con quello che preferite ). Le spezie devono essere di ottima qualità. L’acqua di fior d’arancio (amaro) non è facile da trovare, potete provare nei negozi di prodotti etnici, spesso è di origine libanese o marocchina. Io la compro in Liguria, per la precisione a Vallebona, un bellissimo piccolo paese alle spalle di Bordighera. Nella zona si chiama Aiga Nafra e viene usata in molte preparazioni dolciarie tipiche. E’ prodotta da una storica distilleria aperta a metà ‘800 e chiusa negli anni ’70 a causa del susseguirsi di terribili gelate che uccisero tutti gli alberi d’arancio, stabilizzati nella zona da oltre un millennio. Poi il giovane Guglielmi si è messo in cerca di qualche albero superstite e pian piano la produzione è ripresa.