Europa: vecchio gendarme ai confini della propria tranquillità.
In queste ore Ventimiglia è entrata di prepotenza nelle cronache, come era successo poche volte, e sempre per lo stesso motivo: il suo essere città di frontiera sul confine francese. Ricordo che da bambina, quando il personale viaggiante dei treni scandiva ad alta voce i nomi delle città appena il treno si fermava in stazione, a differenza delle fermate precedenti l’annuncio era “Ventimigliaaaa, città di frontieraaaaa!”. A me metteva allegria. Anche abitare sul confine mi piaceva molto. Nel primo dopo guerra mia madre andava “di là”, che poi era Mentone, con la corriera, e tornava dopo poche ore tutta contenta, con quella sua borsa di strisce di pelle nera gonfia di pacchi di zucchero, caffè e banane. Io credevo che il termine “borsa nera” si riferisse proprio al colore della sua borsa, ovviamente. In cucina si spargeva il profumo del caffè, ma le banane non si potevano toccare. Mia mamma ci diceva che “facevano male alla pancia”, e sparivano subito chissà per quale scambio sottobanco. Mentone si vedeva a pochi metri dalle nostre spiagge, e la sera era tutta imbrillantata di luci, “perchè di là la corrente non la pagano”, si borbottava di qua con invidia. Poi ho imparato anch’io ad attraversare il confine, e a Mentone andavo a comprare dischi francesi, vestitini colorati alla BB (Brigitte Bardot) ai grandi magazzini. Tutto in regola, ma ogni volta si passava con un po’ di batticuore, i gendarmi francesi non hanno mai avuto una buona fama, mai un sorriso, una battuta, a differenza dei nostri. Quando andavo al mare ai Balzi Rossi alzavo gli occhi verso le montagne che incombevano sulla costa con le loro rocce paurose: lassù c’era il Passo della Morte, e si sapeva che tanti cercavano la strada dell’espatrio attraverso quei sentieri pericolosi.
Mio padre lo diceva a mezza bocca, non gli andava di parlarne troppo. E si sapeva che i passeurs trattavano gli affari al bar sulla piazza della Stazione. Io sbirciavo curiosa, quando passavo lì davanti, avrei voluto vedere che faccia avevano questi uomini coraggiosi che accompagnavano le persone di là attraverso i pericolosi sentieri della montagna. Sapevo che durante il fascismo tanti esuli politici avevano attraversato quel confine, tra loro Sandro Pertini, che veniva spesso a pranzo a Ventimiglia dal suo vecchio compagno Nanni. Una volta, mentre raccoglievo ginestre in campagna, ci si era fatto avanti un uomo, mal messo, con una piccola valigia, che ci ha chiesto dove si passava per la Francia. La strada non era quella, gli avevo risposto, saputella, ma salendo sempre forse ci sarebbe arrivato. Chissà che fine avrà fatto. Ecco, tutti questi pensieri sparsi mi sono venuti in mente guardando in televisione le immagini del migranti bloccati alla frontiera di Ponte San Ludovico. Dormono sugli scogli già da tre notti, e qualcuno ha ripreso la vecchia via della montagna.
Ma sembra che arrivati di là e scesi giù verso Mentone trovino ugualmente la polizia ad aspettarli. Non c’è scampo. I boschi lungo la strada per Tenda sarebbero più sicuri, ma bisogna conoscerli molto bene, e ormai i vecchi passeurs sono tutti morti. Quelli di oggi vanno sul sicuro, senza troppi rischi. I ventimigliesi stanno dando prova di grande solidarietà: portano viveri, acqua, vestiti. E anche il neo Sindaco si sta compertando molto bene. Manca l’Europa, che sembra essersi svegliata all’improvviso dal torpore scoprendo che l’unica funzione che riesce ad esercitare è quella del vecchio gendarme ai confini della propria tranquillità.