Hanna Arendt e La banalità del male.
Nei molti discorsi che si stanno intrecciando in questa giornata dedicata alla memoria della Shoah sento ripetere che insieme a questo non dobbiamo dimenticare tutti gli altri orrori e gli stermini su base razziale che si ripetono un po’ ovunque nel mondo. E’ giusto, perchè un olocausto non si può misurare solo sulla base dei numeri delle vittime di uno sterminio, o del luogo in cui è stato commesso.
Ma quell’ olocausto ha aperto un voragine sul nostro presente, come ha lucidamente capito Hanna Arendt e scritto nel suo La banalità del male. Un libro scomodo, perchè pone domande che non avremmo mai voluto e spesso non vogliamo ancora oggi , farci. Le poche risposte che ci fornisce non hanno la rassicurante certezza dei ragionamenti in bianco e nero, e al suo comparire suscitò polemiche aspre e pesanti critiche alla sua autrice che aveva assistito come inviata del New Yorker al processo contro il criminale nazista Eichmann a Gerusalemme. In quel contesto Arendt si convinse della “terrificante normalità umana”, ascoltando le testimonianze di Eichmann scoprì un solerte burocrate, un efficiente esecutore della “soluzione finale”.
Il male le appare banale, e proprio per questo ancora più terribile: perchè i suoi esecutori sono uomini qualunque, più simili al nostro vicino di casa che non a un mostro. E’ inutile e pericoloso aspettarsi dei demoni: i macellai di questo secolo sono tra noi, in tutto simili a noi.
Un pensiero lungimirante.