Il posto dei funghi
Pesce in zimino
La cottura del pesce in zimino è diffusa un po’ in tutta la Liguria, ma ho trovato con mia grande meraviglia una preparazione identica a questa nella taverna casalinga di una lontana isola della Croazia. Il nome stesso sembra essere di derivazione araba, come tanti altri piatti, dolci e salati.
Si usa per cucinare pesci a tranci, seppie e il baccalà, e prevede la cottura in un sughetto di pomodoro fresco leggero in cui prima si sono fatte saltare delle bietole crude tagliate a listarelle. Ricordo che il piatto gustato in Croazia era a base di calamari. Nella cucina di casa mia invece il pesce in zimino consiste nella cottura in tegame con soffritto di olio, aglio e prezzemolo; dopo una rosolatura si adagia il pesce e verso metà cottura si aggiunge del vino bianco e del succo di limone. Si cuociono così il pesce a tranci, le acciughe, il baccalà, le seppie.
Coniglio al Rossese.
Si tratta di una preparazione molto diffusa sia sulla costa del ponente ligure che nei paesi delle vallate. Un tempo c’erano trattorie dove il menù prevedeva invariabilmente e soltanto Ravioli ripieni di carne e verdure e Coniglio. Ti sedevi ad un tavolo con la tovaglia a quadretti, arrivava un uomo anziano, apparecchiava sommariamente (la moglie era in cucina), ti guardava, tu chiedevi cosa c’era da mangiare e lui rispondeva un po’ seccato per quella domanda così stupida “Ravioli e coniglio”. L’ultima volta che sono stata in un posto simile me la ricordo bene: ero con mia mamma, per un’incursione nei posti della sua giovinezza, sulla strada che da Triora porta a Verdeggia, con lo sfondo del Saccarello.
Il Rossese è un vino che nasce dal vitigno omonimo in un territorio circoscritto ai Comuni di Dolceacqua e Soldano, lungo le Vallate del Nervia e del Crosia che dal mare salgo verso i contrafforti delle Alpi Marittime. In anni più recenti la coltivazione si è allargata anche in altre vallate. Il suo nome sembra essere comparso parecchi secoli fa, e in origine era molto probabilmente Roccese, ad indicare una vite piantata in poca terra ricavata tra le rocce esposte al sole. I tralci venivano lasciati crescere liberi e i grappoli venivano legati a sostegni e assorbivano il calore delle rocce. Torniamo al nostro coniglio, molto diffuso nella tradizione contadina ligure, una riserva di proteine a buon mercato. Un tempo in ogni pezzo di terra vicino a casa c’era sempre qualche gabbia dove i piccoli animali venivano allevati a erba fresca e carote, e “andare a fare l’erba per i conigli” era un’attività quotidiana (Vedi il mio racconto Elisa e Tina).
Il coniglio deve essere tagliato a pezzi non troppo grossi, tenendo da parte le interiora pulite dall’amaro. Si rosola in abbondante olio della cipolla tritata e uno spicchio piccolo di aglio, poi si aggiungono i pezzi di carne e per qualche minute si fanno rosolare mescolando spesso per far prendere colore e buttare l’acqua. Quando è ben rosolato si abbassa la fiamma e si aggiunge nell’ordine: un mazzetto di odori legato con spago da cucina (alloro, salvia, rosmarino, timo), le interiora tritate, un bicchiere di vino rosso buono (sarebbe d’obbligo il Rossese, ma fuori dalla Liguria è piuttosto raro trovarlo). Si lascia evaporare un po’, poi si aggiunge una manciata di olive taggiasche. Si incoperchia e si lascia andare a fuoco lento sorvegliando la cottura, che non attacchi. Se si asciuga troppo si può aggiungere man mano del vino, e un pochino di acqua calda. Più vino che acqua. Il tempo di cottura dipende dal tipo e grandezza del coniglio. Calcolate non meno di quaranta/sessanta minuti.