La banda della culla

La banda della culla

Nella sala d’aspetto di una ginecologa romana si incrociano i destini di Claudia e Francesco, Veronica e Camilla, Giulia e Miguel. Sei vite, tre coppie  che vorrebbero generare nuove vite. Ma non possono. Non in Italia, dove se hai un contratto precario, o un ovaio policistico, o origini straniere, o se sei una coppia “irregolare” ,rimani impigliato nella peggiore giungla di divieti e norme arcaiche immaginate da un Paese che dichiara di amare la famiglia ma forse, segretamente, non la sopporta. Così parte l’avventura comica e disperata della “banda della culla”, che sfida la legge ed è disposta a tutto pur di avere giustizia in un Paese dove gli inviati dei talk-show non vengono inviati da nessuna parte, i giornalisti scrivono sotto pseudonimi che scrivono sotto altri pseudonimi, gli argentini laureati in medicina con specializzazione fanno i camerieri nei ristoranti messicani, le laureate in Storia dell’arte scrivono articoli anonimi per fogli di gossip. Una storia di vite qualunque,  comica, ironica, amara, tragica, che fa sorridere e piangere, come la vita vera. E come nella vita vera si intrecciano elementi surreali, di quelli che ti fanno esclamare “no, dai, non può essere vero”, con quelli della realtà sociale più dura.  L’autrice è Francesca Fornario, giornalista e autrice satirica, lavora alla Rai radio 2 in Un giorno da Pecora, dove conduce anche Mamma Non Mamma e Ovunqe6. Collabora con La7, Rai3, Sky, tutto tranne Mediaset. Scrive Per il Fatto Quotidiano, per Il Manifesto e per Micromega. Da quando un dictat di Radio Due ha decretato che non si potevano fare battute ironiche sulla mamma di Renzi, è passata a Radio Tre. 

 Nell’incontro che ho avuto con lei, in occasione della presentazione del suo libro a Pescara, ha esordito dicendo “Ho scritto  un romanzo per Einaudi che parla del fatto che quando una lavoratrice aspetta un figlio ha tre possibilità: 1) Rinunciare al lavoro 2) Rinunciare al figlio 3) Convincere Piersilvio Berlusconi che è lui il padre.” Poi ha raccontato che nel corso di un dibattito in CGIL tra precari, ha capito che non aveva senso fare battute alla radio, occorreva trovare la forza della narrazione. E così è nato questo romanzo, dove, dice, “ad un certo punto il romanzo si è scritto da solo, e ogni personaggio si è fatto carico del dolore dell’altro”. Un romanzo che a leggerlo si ride per non piangere, dove i paradossi della realtà sono la realtà, dove i personaggi devono inventarsi ogni giorno una vita che somigli almeno un po’ a quella che avevano sognato, per la quale hanno studiato e faticato. Ci piacerebbe che alla fine ce la facessero, ma non è proprio così, perchè  “siamo in Italia, bellezza”, e si deve diventare ancora di più cittadini del mondo, per farcela. 

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