La ragazza in giardino. Di Marise Ferro
Quante sorprese mi sono arrivate dalla lettura di questo libro, La ragazza in giardino, pubblicato di recente dalla casa editrice elliot, e curato da Francesca Sensini, che ne ha scritto anche una ben argomentata introduzione. Sorprese ma anche fremiti di gioia. Non sono una recensora di professione, scrivo soltanto per passione le mie impressione di lettura di libri che amo; poi le pubblico qui sul mio blog, a volte sulla rivista Leggendaria, a volte sul LetterateMagazine, la rivista online della Società italiana delle Letterate. Da questo momento in poi non riuscirò a districare i motivi di gioia legati alla mia biografia da quelli di una lettrice “comune”, se pure appassionata. Ma per me va bene così. E allora comincio dall’autrice: Marise Ferro, nata nel 1905. E qui siamo dentro quel mondo popolato da fantasmi di scrittrici dimenticate, cancellate dalla storia letteraria del nostro paese, pur avendo occupato molto degnamente la scena del loro tempo. Me ne occupo da anni, coltivando una solitaria passione iniziata con la ri-scoperta di Ada Negri grazie al ricordo di quanto fosse amata da mia madre. Poi è arrivato il lavoro prezioso della SIL e il continuo impegno sull’Oltrecanone, e via via eccoci da qualche anno in compagnia di giovani scrittrici e studiose che riscoprono quei tesori dimenticati e li rilanciano proponendoli a case editrici che hanno iniziato a ristamparli.
Marise Ferro è nata il 21 giugno del 1905, nello stesso giorno e mese in cui sono nata io, entrambe a Ventimiglia. Chi mi conosce sa quanto sono legata alle mie origini, e quanto amo parlarne e ricordarle nei luoghi, nella cucina, nelle tracce del passato. Eppure Marise Ferro non la conoscevo, e ancora non mi capacito come sia stato possibile non averla mai incontrata in qualche pagina, in qualche ricordo di lei. E poi finalmente grazie a facebook (sia sempre lodato) è arrivato l’incontro con Francesca Sensini e il suo lavoro su Marise Ferro, di cui ha curato anche la pubblicazione di una raccolta di scritti dal titolo La guerra è stupida, di cui parlerò in un secondo momento. Ora voglio restare qui, nel giardino della protagonista in cui si svolge la sua formazione alla vita, dall’infanzia all’adolescenza. Sono molti i motivi autobiografici che si possono rintracciare nel romanzo, anche se non si tratta di un’autobiografia. Ma “quel” giardino esiste davvero: è un luogo magico dove ho vissuto momenti indimenticabili, dove da ragazza ogni volta che lo attraversavo per arrivare al mare fantasticavo di vivere. Si tratta dei famosi Giardini di Villa Hanbury, a La Mortola, una frazione di Ventimiglia a pochi chilometri dalla frontiera. Qui vive la piccola Laura insieme a una nonna dispotica, dura, ma capace di intenerirsi davanti alle fioriture, ai colori e ai profumi del suo giardino meraviglioso. Il romanzo è “un sapiente intreccio di autobiografia, racconto psicogeografico, lucida meditazione sulla propria soggettività, sui ruoli di genere, sul sogno d’amore”. Tematiche presenti anche in Alba de Cespedes, altra scrittrice che sta ricomparendo sulla scena letteraria dopo anni di oblio; e non è un caso se proprio insieme a lei e a Paola Masino Marise Ferro diresse la rivista Foemina dal 1946 al 1947.
Anche la scrittrice Marise Ferro, come sottolinea Francesca Sensini nella sua prefazione, sembra tornare nel giardino dell’ infanzia e della prima giovinezza per una riflessione sulla vita vissuta oltre il giardino, perché “in fin dei conti la scrittura di Marise Ferro risponde sempre a un’esigenza di riflessione autobiografica, a una volontà di vedere più chiaro nella propria esperienza, in quella delle sue protagoniste, travestimenti della scrittrice, e insieme personaggi indipendenti, non di rado composti da frammenti di donne realmente esistite e conosciute, rimaste sospese nella sua memoria in attesa di precipitare, fuori di essa, su una pagina, dentro una goccia di inchiostro.”
Ultime notazioni biografiche mie: la casa dei nonni dove Marise Ferro visse era una villa che si trovava in località le Asse, e lì viveva una cugina di mia mamma, in una ampia casa con giardino, orto, e campagne coltivate a garofani. Da lì una piccola strada portava fino al mare. Ho trascorso in quel luogo momenti incantati e luminosi, che coincidono con i colori dell’estate e la voce dell’uomo che gridava “gelati”, come nella canzone. Sono tornata qualche anno fa a cercarla, ed era ancora là, disabitata da tanto tempo. Da una di quelle finestre l’infelice cugina di mia mamma si lasciò cadere togliendosi la vita, per un sogno d’amore infranto. Come tante eroine dei romanzi che stiamo riscoprendo.