La scelta di Anne
Chi è Anne? Una ragazza francese di ventitré anni, che vive in una città di provincia nel 1963. E’ una studentessa brillante, vuole laurearsi in lettere e insegnare (scelta obbligata per una ragazza che studia Lettere). In un collegio, lontana da casa e da una famiglia molto tradizionale, scopre il piacere della libertà, inclusa quella sessuale, come tante ragazze in un mondo che sta cambiando lentamente, e in cui i modelli di vita sono ancora fortemente patriarcali. Scopre di essere incinta, conseguenza di un rapporto sessuale poco più che occasionale. E qui inizia il suo calvario. Non sa come farà a gestire quella situazione, ma di una cosa è più che certa: non vuole quel figlio, non vuole trasformarsi in una casalinga, rinunciare a una diversa idea di futuro. Ma in Francia, come in Italia, l’aborto volontario è un reato punito con il carcere per chi lo pratica e per chi lo subisce. Questa è la storia che si dipana nel film La scelta di Anne, tratto dal romanzo autobiografico di Annie Ernaux L’événement. Ho letto quasi tutti i romanzi di questa grande scrittrice che ha raccontato la propria vita insieme a quella della società francese. Li ho amati tutti e spesso ho pensato che avrei voluto scrivere qualcosa di simile, ma questo avevo scelto di non leggerlo; era uscito in un momento in cui avevo molte altre letture in cantiere, forse stavo terminando di scrivere il mio ultimo romanzo. Ma forse non era solo questo: non mi andava di ripercorrere leggendo tanti passaggi di vita e di esperienze che avevo vissuto. L’avevo liquidato con un “quella storia la conosco troppo bene”. Poi è uscito il film, diretto dalla regista Audrey Diwan, vincitore del Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia, e non ho voluto sottrarmi. E’ davvero un film potente. Non risparmia nulla: mostra i corpi in ogni loro angolo, nel piacere e nel dolore; il sangue, i tentativi maldestri di liberarsi da sola, le sedute in bagno, l’angoscia, la paura. A tratti lascia senza fiato. Ma ogni scena è necessaria, non c’è mai un indugiare di troppo, una sbavatura, un eccesso. E questo secondo me aggiunge forza al racconto, in cui il viso della protagonista, Anamaria Vartolomei, è sempre lì, e parla con gli occhi, che dicono la paura, la solitudine, ma anche la forza e la determinazione. E così ci si sente vicine ad Anne, così sola nel suo coraggio. “E’ stata malata?, le chiede il professore quando la rivede in aula dopo la tempesta. “Sì, quella malattia che colpisce solo le donne e le trasforma in casalinghe”. E mi sono rivista, nelle trappole della libertà e dei prezzi da pagare in cambio, nella solitudine dei miei diciotto anni, nella rabbia per i medici dalla doppia morale, nelle lotte per avere una legge, finalmente, che ci liberasse. Ma tornando a casa ho ammirato la ragazza che sono stata, quella forza, che non so da dove mi fosse arrivata, ma che era davvero grande. Grazie Annie Ernaux e Audrey Diwan, per averla raccontata e per averlo fatto così magistralmente. E grazie all’attrice Anamaria Vartolomei per aver dato sguardo e intensità alla protagonista.