L’acqua del lago non è mai dolce
La storia si svolge ad Anguillara Sabazia, sulle sponde del lago omonimo, tra le sue case, i treni e gli autobus che bisogna prendere per raggiungere Roma. E se sei povera tutto è più insopportabile. All’inizio sembra la storia di un conflitto tra madre e figlia, che per quanto possa essere pesante troverà pur sempre una ricomposizione. Questo pensi, ma con una punta di inquietudine, perché se la scrittrice è Giulia Caminito e ha scelto di usare la prima persona per raccontare la ragazza senza nome, che resta tale fino a pagina 269, quasi alla fine, ti metti all’erta. Qua e là all’inizio sembra che ciò che lei desidera sia l’approvazione di Antonia, quella madre forte e implacabile, che lotta contro la vita, la cui filosofia è che se lotti devi farlo per qualcosa di concreto, e devi ottenere un risultato. Una madre mai tenera, mai accogliente, che usa un “ci che mi comprende come una prigione” . Che stabilisce le regole. Nessuna comprensione per lei che come una guerriera mantiene tutta la famiglia, il marito disabile e quattro figli, tiene in piedi case che rischiano di crollare, vite che rischiano di franare ad ogni passo.
La figlia guarda, inorridisce per quella sua volontà di non arrendersi mai, non riesce starle dietro, a tenere il suo passo. Può solo deragliare. Può solo prendere la mira e sparare, per vendicarsi dei torti, delle mancanze, della vita che non la risarcisce in alcun modo, per tutti quelli che non la vedono, mentre lei vuole essere vista, ma lo fa in maniera maldestra e goffa. Poi via via i suoi gesti e le sue scelte senza desideri si fanno sempre più mirate. L’uso della prima persona ti coinvolge, ti fa sentire dentro la storia, vicina a quella ragazza dal nome così incongruo, Gaia. Ma tu non vuoi farti coinvolgere perché Gaia ti è antipatica, non riesci a stare dalla sua parte, commette sbagli, non sa cosa vuole, usa le persone, le amiche, i ragazzi con cui simula una specie di attrazione del corpo. Gaia è cattiva. Ma quando leggi un romanzo vuoi sapere da che parte stare, eppure, nonostante tutto questo, senti che questa storia così sbagliata in qualche modo ti interpella, ti chiama in causa. Dove stavi tu, dove stavamo tutti in quegli anni 2000 di vite piccole, insignificanti, che nemmeno ti sfioravano? E prima ancora, quando eri definita dal tuo essere figlia e poi dal tuo essere madre: c’è stato nella tua vita un punto di rottura? Un momento in cui avresti potuto prendere un’altra direzione? E cosa te lo ha impedito? Quale è stato il momento in cui quel punto di rottura sei riuscita a governarlo e a tirarti fuori? Mentre guardi la vita di Gaia scivolare via ti poni sottotraccia tutte queste domande. E sei grata a Giulia Caminito per aver scritto questo libro così difficile e duro, che non fa sconti.