Quel luogo a me proibito
E’ da un po’ di tempo che voglio scrivere di Elisa Ruotolo e del suo romanzo, come faccio sempre con i libri di cui mi innamoro per un motivo o per un altro. Ma rimandavo, presa da urgenze e scadenze, perché volevo dedicargli la cura che merita, e restituire alla sua autrice il senso della cura che lei si è presa della sua protagonista e della sua storia. Del modo “mite” con cui ce la racconta, con un linguaggio così vicino alla poesia, intimo, che nomina dolori e corpi, e ci colpisce al cuore fin dalle prime pagine. Forse è un libro difficile da raccontare, bisognerebbe trascrivere intere frasi e lunghi periodi, nell’ansia di salvare tutto, capire se e come se la caverà quella donna bonsai, abituata a considerare inevitabile accontentarsi del poco spazio, della curvatura innaturale dei rami e il taglio delle radici. Ci si i immerge nella storia, dentro fino ai capelli, e a volte manca anche un po’ il respiro e bisogna riprendere fiato. Quel luogo a me proibito è il luogo della confidenza con il corpo e con il desiderio, qualcosa che la protagonista non ha mai imparato, scoraggiata dagli insegnamenti assimilati fin dall’infanzia e mai messi in discussione. Dalla disabitudine ai gesti della tenerezza e alla loro gratuità. Un corpo estraneo e nemico, che non la incuriosisce nemmeno. Forse potrebbe essere una storia come tante, ma il dono della parola di Elisa Ruotolo la rende unica, e magica nello scavare dentro e ancora più dentro, fino al nocciolo più duro, alla corteccia più resistente. Sentite qui. “Lui era il primo uomo capace di parlare alla donna che dimenticavo d’essere, e la sua voce sembrava venire da un oriente di troppa luce. Adesso non saprei dire perché con lui divenni obbediente. Altre mani le avrei morse e cacciate via, ma le sue a un certo punto le tenni ferme, forse perché Andrea voleva cercare in me l’essere umano, non quello morale: carezzare il vestito lordo, non il cappotto di lana. Ogni volta che s’avvicinava sentivo di non essere migliore né peggiore degli altri, ma proprio quanto loro desideravo ed ero viva”. “Il mio corpo. Era così analfabeta che di certo non avrebbe saputo cogliere i messaggi più elementari del suo e rispondere a tono. I movimenti naturali li avrei confusi con l’aggressione (…) Io non ho mai avuto un corpo. Ho solo creduto. (…) Questo corpo io lo abito nella sfiducia e nella prudenza di una non vita. Per me è un estraneo, perché non so mai in che modo dormirà e con quale cuore si sveglierà al mattino.”. La storia prosegue fino al suo epilogo sospeso e senza risposte. Pagine crude e sensuali, in cui la parola empatica riesce a raccontare la luce e l’ombra più cupa. E un po’ anche di noi, di come siamo state, e di come siamo diventate, di come avremmo potuto essere, a quali tempeste siamo scampate. Questo è il secondo romanzo di Elisa Ruotolo, ed è pubblicato da Feltrinelli. Il suo primo romanzo, Ovunque, proteggici è stato selezionato per il Premio Strega nel 2014. Tra i due romanzi ha scritto di Antonia Pozzi, e molta poesia. E si sente .