
Quello che so di te
Ho letto tutti i libri di Nadia Terranova (Gli anni al contrario, 2015, Addio fantasmi, 2018, Trema la notte, 2022, Come una storia d’amore, 2020). Ho in mente frasi, come “Se succede al corpo non è successo…”, immagini, come quella della donna al tavolino del bar prima di tornare a casa per il pranzo di Natale. Eppure mi sono avvicinata a questo libro, all’oggetto materiale prima ancora che al suo contenuto, con circospezione, come si maneggia un oggetto fragile. Immaginavo che fosse qualcosa di speciale, si intuiva dalle poche cose che avevo sbirciato, in attesa di trovare parole mie per raccontarmelo e raccontarlo. L’ho letto due volte, e credo sia tra le centinaia che possiedo uno dei libri più sottolineati, e pieni di note a margine a matita, e segnapagine. Come quei libri di politica delle donne degli anni ruggenti. Ma perché no? Anche questo è un libro politico, e molto. E allora vediamo cosa ci racconta Nadia Terranova in questo libro dalla prosa limpida, che chiama semplicemente le cose con il loro nome, in cui ogni parola pesa e non è detta a caso. In questa storia l’autrice parla in prima persona, dice io, e dichiara quindi di essere la narratrice e la protagonista, ma è un Io pesante, perché non si limita ad essere se stesso ma è parte di una catena che si svolge all’indietro fino alla bisnonna e in avanti per raggiungere la figlia di tre anni. Nadia non si nasconde dentro un’autofiction, non fa capolino tra le righe, ma è l’anello forte della catena, quello che non si può e non si vuole spezzare; è immersa non solo nel proprio presente, vive all’indietro e in avanti, verso il futuro, ma nello stesso tempo compie quella magia che poche scritture “autobiografiche” riescono a fare: esce dalla proprietà esclusiva di di scrive e diventa universale, nonostante si articoli in una trama molto particolare che è difficile pensare come universale. Qualcosa che ricorda lo scrivere di Annie Ernoux (che so molto vicina a N.) Non ci chiede di immedesimarci nella sua storia, o di mimetizzarci nella sua, ma di seguirla. Come ci riesce? La magia non si spiega, si vive e basta, e lei ci riesce perché è una vera scrittrice. E così la seguiamo scoprendo man mano le tessere del puzzle che la compongono, dalla prima all’ultima pagina. Nella prima c’è una bambina appena nata, e c’è la madre che si rassicura pensando che in quei primi giorni la neonata, come tutti sappiamo, riconosce solo il volto della madre e solo se si trova a venticinque centimetri di distanza, più in là la madre non esiste. “L’inesistenza è il mio ultimo sollievo. E se non esisto, non posso sbagliare”, pensa. Da qui inizia il percorso di riappropriazione della storia da cui la scrittrice proviene: la madre, la nonna, la bisnonna, che è il punto di partenza e di arrivo, perché il percorso non è banalmente lineare ma i tempi e gli avvenimenti si intersecano e si riallineano proprio come accade in un puzzle in cui solo gli incastri alla fine riescono a svelare il disegno. La bisnonna è una figura misteriosa, dai tratti contraddittori, che le appare in sogno da sempre. Come se chiedesse di essere raccontata. Una donna che ha vissuto il trauma della perdita di una figlia abortita in seguito a un incidente, essa stessa figlia unica sopravvissuta ai dieci e più aborti della madre, e che in seguito a quel trauma, è stata ricoverata in manicomio. Per quanto tempo, e con quale diagnosi? Era pazza? e per quanto tempo lo è stata? Siamo nel 1928, o forse ’29…La Mitologia Familiare, fonte di memorie e conoscenze, non è chiara su questo. Qual era il suo nome? Venera è il nome che la scrittrice ha inventato per lei? Sono tanti i misteri in questa storia, per molti la scrittrice che sogna e che interroga i presagi cercherà aiuto nella Mitologia Familiare, ma con alterne fortune. Perché a darle credito qualcosa si guadagna e qualcosa si perde, come vedremo. Si perdono le figure femminili, ma forse e anche di più quelle maschili, i padri, i mariti, i fratelli. Occorrerà andare a vedere da vicino, avvicinarsi ai luoghi dove tutto è accaduto, ricorrere alle carte della burocrazia, ricorrere alla storia e alla scienza. Ma basterà? E alla fine quale sarà il guadagno per la donna che si è inoltrata così lontano? Che è andata a prendersi il passato invece di limitarsi a sognarlo? La scrittrice, la protagonista della storia, la bisnipote di Venera, la madre di Luna a pagina 135 lo dice così: “Quando mia figlia sarà grande, il tempo e la verità avranno trasformato i sassi in vento, le leggende di famiglia in parole elastiche, e il dolore sarà diventato innocuo. Venera, Rinuccia, mia madre e io: la linea materna della follia sarà finita con me, la bambina sarà un’adulta dalle spalle libere. Il macigno glielo avrò tolto io.” E forse grazie a questo libro la nostra amata scrittrice sarà riuscita anche a frantumare il macigno della legittimazione alla scrittura, che non deve chiedere permesso e nemmeno scusa per il tempo dello scrivere che si affianca a quello della cura materna. C’è spazio per tutto.