Questa guerra antica e moderna
Questa guerra è per molti aspetti antica nei suoi barbari rituali: la morte casuale di vittime inermi, l’uccisione deliberata di civili a scopo di vendetta, atti di crudeltà che non risparmiano i bambini, torture, stupri sulle donne. Radere al suolo le città che resistono e tutti i loro abitanti. Li abbiamo visti ripetersi, anche in tempi recenti. E si ripete anche il rituale del tentativo di ribaltare la realtà: non siamo stati noi, sono stati loro. Lo ricorda Susan Sontag nel suo libro Davanti al dolore degli altri, in cui analizza i meccanismi della comunicazione in tempi di guerra, e porta come esempio la strage di Guernica, dove il capo della propaganda franchista sosteneva che fossero stati i baschi a distruggere la loro antica capitale per addossare la colpa ai nemici della Repubblica spagnola; o Sarajevo, dove i serbi tentarono di sostenere che erano stati gli stessi bosniaci a sparare sulle file di civili per il pane, o al mercato, e non i cecchini serbi che dalle alture sopra la città prendevano di mira i civili. Ma insieme all’antico, questa guerra ha tratti di impensata modernità: la comunicazione in tempo reale, le riprese satellitari che smentiscono le menzogne, le testimonianze immediate degli scampati (una donna ieri raccontava, da un qualche villaggio occupato dai russi e poi liberato dall’esercito ucraino, “ho cercato di sembrare più vecchia, perché non mi stuprassero”); gli anziani che emergono dai rifugi sotterranei come fantasmi; istantanee, volti, storie, fotografie che restano impresse molto di più delle ore di filmati che scorrono senza sosta e a cui rischiamo di abituarci. E anche l’immagine della bambina a cui la madre ha scritto sulla schiena con pennarello indelebile nome indirizzo e numero di telefono, caso mai si smarrisse; fino ad arrivare alla app che a Leopoli avvisa sul cellulare degli allarmi aerei e aiuta a trovare il rifugio più vicino. Si scende sottoterra, si aspetta che finisca, si risale e si riprendono le occupazioni interrotte. E c’è la donna che, dopo aver portato in salvo i suoi bambini in Italia, ha riempito lo zaino di patate da semina ed è tornata indietro, perché se le patate non le metti in terra con la luna giusta il raccolto non sarà buono. Un gesto antico di cura e di sapienza. Un gesto femminile. Spero tanto che, in qualche lontano campo dell’Ucraina, riuscirà a raccogliere le sue patate e a crescere i suoi figli.