Raccolte e letture
Nel corso dell’estate mi è capitato molte volte, sulle montagne della Valle Subequana, di incontrare per caso alberi di frutta selvatica: ciliegie, albicocche, susine, fichi, mele. O le fragoline nascoste al bordo dei sentieri, orlati di cespugli di more di rovo. Altre volte passeggiando nei boschi ho trovato i funghi buoni, che riesco a scovare con lo sguardo anche da lontano. Nel mio zaino ci sono sempre sacchettini di carta pronti per ospitare le raccolte, insieme a un coltellino multiuso. Quest’anno la natura è stata particolarmente generosa, e ogni giorno ha regalato qualcosa. Così mi sono ritrovata a indagare tra me e me sull’origine di questa sensazione di benessere, e mi è tornato in mente un piccolo libro di Alina Reyes (divenuta celebre con Il macellaio) uscito lo scorso anno: si intitola Elogio del fungo, ma il titolo originale ben più appropriato è Cueillettes (Raccolte). L’avevo comprato pensando che parlasse di funghi, di cui sono da sempre appassionata cercatrice/raccoglitrice (spesso li trovo senza cercarli, come se fossero lì ad aspettarmi). Invece il capitolo sui funghi occupa un piccolo spazio, mentre tutto il resto parla di raccolte di ogni genere, e di memorie dell’infanzia. L’avevo letto distrattamente e lo ricordavo poco, così l’ho riletto e mi ha aiutato a capire.
Scrive Alina Reyes che in qualche modo noi umani patiamo la nostalgia per l’epoca della nostra età dell’innocenza, quando non eravamo ancora separati dalla natura ma vivevamo in armonia con essa. Ecco quindi che la raccolta rimane inscritta nella nostra memoria come l’attività più pacifica di tutte, quella che ci dava nutrimento ma anche la prova di essere prediletti da una qualche divinità benefica, che ci offriva le sue delizie perchè ci amava. Raccogliere significa accogliere ciò che viene, accogliere il dono che ci viene elargito; e mangiare i frutti della raccolta significa per noi, ancora oggi, mangiare il presente vivo del mondo, il suo nutrimento e lo splendore con cui ci elargisce i suoi doni. La raccolta è felicità dice Alina Reyes, ciò che è vivo parla, si offre allo sguardo e a tutti i nostri sensi. Chi riceve ha voglia di ringraziare, e questo prolunga la sensazione di armonia con il mondo. Così ho capito perché ogni volta che mi imbatto in un albero carico di frutti, o in un cespuglio di bacche selvatiche, o in un piccolo fungo, non riesco a sottrarmi al desiderio della raccolta: rinunciarvi significherebbe rinunciare al dono che ci viene elargito con generosità, disprezzarlo; un po’ di gioia che va persa. Molti frutti delle raccolte sono diventati vasetti di conserve, e quando li guardo nell’ombra della credenza, in file ordinate e lumi9nose, mi sento un po’ come l’orso nella tana che prima di andare in letargo controlla la provvista di mele, o lo scoiattolo il suo mucchietto di nocciole. O più banalmente, come le nostre nonne, quando nelle case c’era la dispensa con i suoi scaffali belli in ordine e ricolmi di cibo da consumare durante l’inverno.
(Alina Reyes, Elogio del fungo, Guanda, 2012)