Sono io che l’ho voluto. L’ultimo romanzo di Cynthia Collu.
Una famiglia normale, normalmente infelice. Lei, Miriam, e la sua illusione di domestica tranquillità covata nel rimpianto di una vita che si rivela ben presto diversa da come l’aveva immaginata; lui, Sebastiano, un uomo dai sentimenti labili e rancorosi, che trova nella moglie la vittima perfetta delle proprie frustrazioni; e il figlio, Teodoro, tre anni di sonno rubato fino allo sfinimento, una fatica quotidiana che ricade tutta le spalle fragili di Miriam, e del suo non sentirsi mai all’altezza, come il marito non manca mai di farle pesare, con la forza odiosa di un ricatto. Quel figlio lui non lo voleva, “sei tu che l’hai voluto”, le ripete con crudele indifferenza. Anche lei non fatica a convincersi della propria inadeguatezza di moglie distratta e trasandata, sempre stanca, e di madre incapace di prendersi cura di un figlio troppo esigente, e la violenza psicologica non viene percepita nella sua drammatica pericolosità. Dall’autosvalutazione all’accettazione della violenza fisica il passo è breve, è un lento scivolare nel baratro, interrotto a tratti da sterili rivendicazioni che non arrivano mai alla radice delle cose.
Cynthia Collu costruisce tre personaggi che da subito non ispirano alcuna simpatia, nemmeno lei, Miriam, con il suo vittimismo sterile che sembra incapace di riscatto. Il suo muoversi sulla scena non ha niente di eroico, ma la forza della storia che man mano ci prende forse sta proprio qui, nella ordinaria normalità di questa donna che riesce a trasformare la propria debolezza in una risorsa capace di salvarle la vita, a dispetto di ogni previsione. E il titolo “Sono io che l’ho voluto” acquista pian piano con sempre maggiore chiarezza il significato di una premonizione.
Sono io che l’ho voluto, di Cynthia Collu. Mondadori 2015, pagine 267, euro 18,50.