Sotto una piccola stella
E’ la poesia, molto sovente, che riesce a scolpire con esattezza sentimenti confusi, sensazioni a cui non sappiamo dare nome. Mi è capitato spesso in questi giorni cupi di lutti e morti di non riuscire a dare un senso a gesti quotidiani, pensieri in apparenza futili che comunque si affacciano alla mente e si vorrebbero scacciare con un senso quasi di colpa. E poi mi è venuta in soccorso una poesia che non ricordavo per intero, ma che mi risuona spesso in mente con alcuni versi, e l’ho ritrovata. E’ di Wislawa Szymborska. Parla del nostro sentimento di inadeguatezza, del sentirci in colpa per la vita che comunque chiede di esserci, e della necessità di accettare tutto ciò. Eccola. Sotto una piccola stella.
Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.
Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.
Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.
Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa.
Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito.
Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto.
Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino.
Perdonami, speranza braccata, se a volte rido.
Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d’acqua.
E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia,
immobile, con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto,
assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato.
Chiedo scusa all’albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo.
Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.
Verità, non prestarmi troppa attenzione.
Serietà, sii magnanima con me.
Sopporta, mistero dell’esistenza, se tiro via fili dal tuo strascico.
Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado.
Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque.
Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna.
So che finché vivo niente mi giustifica,
perché io stessa mi sono d’ostacolo.
Non avermene, lingua, se prendo in prestito
parole patetiche, e poi fatico per farle sembrare leggere.