Sovrane del tempo
Questi due lunghi mesi di isolamento sono iniziati con un tempo di cui da un giorno all’altro abbiamo subito l’esproprio: non ci apparteneva più, non nella forma che eravamo abituate a dargli. Scorreva, poi accelerava, si riempiva di cose inusuali. Anch’io, come tante, attraverso i social mi sono tenuta in contatto con amicizie già consolidate, ma nello stesso tempo ne ho scoperte altre che sono diventate importanti; sono entrata in gruppi che soprattutto nelle prime settimane avevano l’obiettivo più o meno dichiarato di “occupare il tempo”, o di “riempirlo”, in maniera creativa e scanzonata: piazze virtuali dove ci si scambiavano consigli di ogni genere, sostegni, insegnamenti, da come si impasta il pane a come si potano gli alberi da frutta. Una delle esperienze messe in comune più di frequente è stata la difficoltà di leggere. A fronte dei molti luoghi dove si discuteva di libri, si seguivano presentazioni e incontri in streaming, era molto diffusa l’ammissione sconcertante di non riuscire a leggere, nonostante le aspettative contrarie. Anch’io nei giorni precedenti alla chiusura delle librerie avevo acquistato e ordinato parecchi libri, e altri ancora ne avevo acquistati in ebook, pregustando il piacere della grande quantità di tempo che avrei avuto. Invece non riuscivo a leggere. E ho rivissuto la situazione angosciante di un film in bianco e nero di una serie americana anni ’60, Ai confini della realtà, visto da ragazza. Si intitolava Tempo di leggere se non ricordo male. Il protagonista è un oscuro impiegato di banca che ama leggere, ma in casa non può farlo perché una moglie dispotica glielo impedisce. Così si rifugia nel caveau della banca e si immerge nella lettura. Mentre è lì avviene un esplosione nucleare e quando riemerge dalle macerie che lo circondano, illeso e salvato dalla sua passione per i libri, si accorge di essere l’unico sopravvissuto. Finalmente libero e felice, si ritrova immerso nei libri della locale biblioteca e mentre pregusta un futuro fatto solo di letture, inciampa e gli si rompono gli occhiali. Non vede più. La storia si chiude sul suo viso disfatto. Quella storia è stata il mio incubo per tanto tempo e non l’ho mai dimenticata, se ne parlo ancora adesso qui; ma il suo segno è opposto a quello di questo presente: il tempo per leggere c’era, così come la scorta di libri e più di un paio di occhiali, non si sa mai. Ma non riuscivo a leggere.
Le motivazioni raccolte in rete da chi si ritrovava a vivere la stessa mia esperienza, erano tutte delle stesso tenore: manca la concentrazione, siamo troppo prese dalle notizie dell’ora per ora, dai bollettini di guerra che ora per ora davano i numeri della diffusione della pandemia. Ma c’era anche altro, qualcosa che non riuscivo ad afferrare. Poi dopo due o tre settimane le cose sono cambiate, come se fossi riuscita a mettere in ordine il tempo, a sentirmi di nuovo padrona del suo scorrere. Ma allora, mi sono chiesta, cos’è questo nostro tempo, così come lo abbiamo strutturato nelle nostre vite? Mi è tornato in mente uno scritto di Iaia Vantaggio in un libro di molti anni fa che parlava del lavoro delle donne, e lei scriveva che il tempo è una risorsa che ha a che vedere con la necessità e il desiderio. Necessità e libertà. Dove si colloca il nostro tempo per la lettura? Normalmente forse appartiene a entrambe le dimensioni, perché leggiamo per il desiderio di farlo, ma rispondere a quel desiderio è anche una necessità? In questa nuova esperienza che abbiamo vissuto nostro malgrado queste due dimensioni si confondono e confondono anche noi. Forse perché continua a prevalere un’idea del tempo oggettivato, che risponde prevalentemente a categorie di tipo economico, se pensiamo alle azioni che definiscono la nostra relazione con questo oggetto: tempo da occupare, riempire, utilizzare, perdere, sprecare, risparmiare. Idee che fluttuano, pensieri sparsi. Forse, anzi ne sono sicura, ci sono altri verbi, da imparare ad usare di più, per rientrare in quella dimensione del desiderio e che hanno a che vedere con l’osservare il tempo che passa, attraverso i segni che lascia. Come l’acqua che scorre tra le dita. Tornare ad essere padrone del tempo, anzi, sovrane del tempo.