Ursula Le Guin è morta questa notte, all’età di 88 anni.
Ripubblico un articolo scritto nel 2014 in occasione dell’assegnazione del National Book Award per la carriera.
In quell’occasione pronunciò parole importanti sul significato e la funzione della letteratura, che allora suscitò molta attenzione, e su cui è utile riflettere.
Novembre 2014. Ursula K. Le Guin ha ricevuto qualche giorno fa New York il prestigioso National Book Award per la carriera letteraria e ha pronunciato un appassionato discorso di ringraziamento di grande impatto, che ha fatto parlare tutti i maggiori quotidiani americani. Riporto di seguito l’articolo del magazine del portale www.fantascienza.com
Ricevendo uno dei premi più prestigiosi per uno scrittore, ha iniziato il discorso di ringraziamento nel modo classico, ringraziando per il premio e poi ringraziando famiglia e collaboratori. Poi la prima frecciatina, ricordando che era la prima volta in mezzo secolo che veniva premiato uno scrittore del fantastico, aggiungendo che nei tempi bui che stanno arrivando avremo disperato bisogno di scrittori capaci di vedere una realtà oltre la nostra. “Realisti di una realtà più grande”, così Ursula Le Guin ha definito gli scrittori di fantascienza.
E poi ha proseguito con un ferocissimo attacco contro la mercificazione del libro, attaccando non troppo indirettamente anche Amazon ma non risparmiando parole dure anche per il suo stesso editore.
Chi si aspettava le solite frasi di circostanza ha avuto un brusco risveglio, e chi pensava che Ursula Le Guin, alla bella età di 85 anni, non avesse più nulla da dire ha dovuto ricredersi. Ecco per intero il discorso, riportato dal magazine del portale della fantascienza e del fantastico www.fantascienza.com
«A chi mi ha dato questo bellissimo premio, grazie. Dal cuore. Alla mia famiglia, ai miei agenti, ai miei editor dico: sappiate che se sono qui è anche merito vostro, e questo premio è tanto vostro quanto mio. E mi piace l’idea di accettarlo e condividerlo con tutti quegli scrittori che sono stati esclusi dalla letteratura così a lungo, i miei colleghi autori di fantasy e fantascienza, scrittori dell’immaginazione, che per cinquant’anni hanno visto questi bei premi andare ai cosiddetti “realisti”.
Sono in arrivo tempi duri, e avremo bisogno delle voci di scrittori capaci di vedere alternative al modo in cui viviamo ora, capaci di vedere, al di là di una società stretta dalla paura e dall’ossessione tecnologica, altri modi di essere, e immaginare persino nuove basi per la speranza. Abbiamo bisogno di scrittori che si ricordino la libertà. Poeti, visionari, realisti di una realtà più grande.
Oggi abbiamo bisogno di scrittori che conoscano la differenza tra la produzione di una merce e la pratica dell’arte. Sviluppare materiale scritto per venire incontro a strategie di vendita con lo scopo di massimizzare il profitto di una società e la resa pubblicitaria non è la stessa cosa rispetto a scrivere e pubblicare libri in modo responsabile.
Io vedo il reparto vendita prendere il controllo su quello editoriale. Vedo i miei stessi editori, stupidamente nel panico dell’ignoranza e dell’ingordigia, chiedere alle biblioteche pubbliche sei o sette volte il prezzo praticato ai clienti normali per un ebook. Abbiamo appena visto un profittatore cercare di punire un editore per la sua disobbedienza, e gli scrittori minacciati da una fatwa corporativa. E vedo molti di noi, coloro che producono, che scrivono i libri e fanno i libri, accettare tutto questo. Lasciando che i profittatori commerciali ci vendano come deodoranti, e ci dicano cosa pubblicare e cosa scrivere.
I libri non sono merce. Gli scopi del mercato sono spesso in conflitto con gli scopi dell’arte. Viviamo nel capitalismo, e il suo potere sembra assoluto… ma attenzione, lo sembrava anche il diritto divino dei re. Gli esseri umani possono resistere e sfidare ogni potere umano. La resistenza spesso comincia con l’arte, e ancora più spesso con la nostra arte, l’arte delle parole.
Ho avuto una lunga carriera come scrittrice, una buona carriera e con una buona compagnia. Ora, alla fine di questa carriera, non voglio vedere la letteratura americana essere svenduta. Noi che viviamo di scrittura e di editoria vogliamo e dobbiamo chiedere la nostra parte della torta. Ma il nome di questo riconoscimento non è profitto. È libertà.»